IL BRANDY ITALIANO

Alla scoperta del distillato di vino nostrano

03/01/2018 //Autore: Fiorenzo Detti

IL BRANDY ITALIANO

ORIGINE E STORIA

L’Italia ha una lunga storia nella produzione del Brandy. Riferendoci solo ai documenti ufficiali e tralasciando scritture private e testamenti la storia del nostro Brandy ci riporta al novembre 1583 quando il duca Carlo Emanuele I di Savoia concesse ad Orazio Senese l’esclusiva per la produzione e commercio dell’acquavite di vino entro i suoi possedimenti. A differenza di quanto accade in Francia e Spagna, l' Italia non ha regioni specifiche di produzione. 

La storia della distillazione del vino in Italia nasce principalmente per il volere di alcuni stranieri giunti sulla nostra penisola per questioni commerciali. La Sicilia in particolare fu pioneristica in questo senso già a partire dal 1773, anno d'arrivo del commerciante inglese John Woodhouse, figlio di un negoziante di Liverpool che decise di distillare il vino per “fortificare” il vino di Marsala da esportare.

Un altro Inglese come Benjamin Ingham nel 1806, contribuì ad incrementare la coltivazione della vite e la distillazione del vino dotando la sua azienda di un capace e moderno alambicco.

Pochi anni più tardi a Bologna giunse dalla Francia Jean Bouton e nell’anno 1820 aprì la sua prima distilleria in via Pietramellara. 

I fratelli Landy, anch’essi giunti dalla Francia aprirono a Bologna nel 1870 la Landy Frèrer che produceva un Cognac tre stelle, seguiti da un altro francese René Briand nel 1935. 

Vincenzo Florio nel 1832 giunse a Marsala dalla Calabria, fondando l’azienda che ancora oggi porta il suo nome e iniziando a produrre vino di Marsala ed un eccellente Brandy.

Dalla Dalmazia a Trieste Lionello Stock nel 1884 fondò la sua prima distilleria, seguito a ruota da altri italiani come Ausano Ramazzotti nel 1815, la famiglia Branca nel 1845, Antonio Carpené nel 1868 e Stauroforo Pilla in Veneto nell’anno 1919.

I distillati di vino in Italia si sono sempre chiamati “Cognac” sino al termine della seconda guerra mondiale. Il 29 maggio del 1958 fu firmato un accordo tra Italia e Francia, in base al quale l’Italia rinunciava alla denominazione “Cognac” che veniva solo riservata ai distillati di vino della Charente francese.

L’Italia ottenne tre anni di tempo per adeguarsi al nuovo trattato e smaltire tutto ciò che non era considearto a norma. Con la legge del 18 luglio 1949, n. 766 tale accordo fu ratificato; bisognava dunque cercare un nuovo nome. 

In quegli anni anche la Germania e l’Austria firmarono un accordo con la Francia impegnandosi a loro volta a cambiare il nome “Cognac” ai loro distillati di vino.

Il nome Brandy è stato utilizzato ufficialmente in Italia dal 7 dicembre del 1951 con la legge N. 1559. Si discusse infatti molti anni riguardo il cambio di denominazione su pressione dei francesi che ritenevano (a giusta ragione) il nome “Cognac” dovesse essere riservato ai loro distillati di vino prodotti nella regione della Charente, a nord di Bordeaux, dove la cittadina di Cognac è al centro di questo dipartimento.

Gabriele d’Annunzio già autore dei fortunati nomi “Rinascente” e “Aurum” propose il termine “Arzente” antica parola della parlata toscana del '600, ma i governanti di allora gli preferirono il nome “Brandy”

Si mirava all’esportazione e il termine “Brandy”, anche se di larga diffusione internazionale, sembrava molto più orecchiabile.

La denominazione “Brandy Italiano”, è riservata esclusivamente all’acquavite ottenuta dalla distillazione del vino prodotto in Italia da uve coltivate e vinificate nel territorio nazionale. 

Per quanto riguarda la provenienza delle uve da cui si ricavano i vini per la distillazione, non è mai esistita una vera normativa, in genere si utilizzano Trebbiano toscano, Trebbiano romagnolo, l’Asprinio o Asprino di Aversa: uve caratterizzate da una buona acidità e un basso tenore di alcol.

Il Brandy Italiano si può distillare indistintamente in tutte le regioni d’Italia.

La legge stabilisce che il distillato di vino per avere diritto alla denominazione “Brandy” deve essere sottoposto ad un invecchiamento minimo di 6 mesi se maturato in botti con contenuto inferiore a 10 hl, altrimenti minimo 12 mesi se maturato in botte più grande sotto sorveglianza fiscale. Le botti di rovere per l’invecchiamento hanno in genere capacità di 250, 400, 600 litri, mentre i tini per l’affinamento finale dove il Brandy “soggiorna” prima dell’imbottigliamento variano dai ventimila ai quarantamila e più litri. L’invecchiamento è essenziale al miglioramento organolettico del prodotto, ne evolve i profumi e “smussa” le pungenze degli acidi. 

Mediamente in Italia i Brandy invecchiano non meno di tre anni ma si possono trovare in commercio prodotti più costosi ed eleganti maturati per sei, otto, dieci e più anni.

E’ ammessa l’aggiunta di caramello sino ad un massimo del 2%.

COME SI BEVE

Il Brandy è soprattutto un distillato da meditazione da bersi come dopo cena a temperatura ambiente nel classico bicchiere “ballon” o in un calice a tulipano per meglio apprezzarne la complessità aromatica.
Viene utilizzato anche in mixology come ingrediente per la preparazione di alcuni cocktail.

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